Agricoltura e territorio
Ultima modifica 13 maggio 2024
La terra d’Adrara nell’Ottocento
Il Dizionario odeporico di Giovanni Maironi da Ponte, edito in tre volumi tra il 1819 e il 1820, è una fonte ricchissima di informazioni sul territorio bergamasco, sull’economia e la società d’allora. Ogni comune, e area sovracomunale d’interesse, ha una propria descrizione.
Lo studioso descrisse Adrara San Martino come una terra ricca di vigne, tant’è che il “suo prodotto massimo” era “il vino”. Molto estesi erano anche i prati e i pascoli, grazie a cui alimentava “copiosissime mandre”, che svernavano “nella bassa Bresciana e Cremasca”.
Adrara San Rocco, in posizione “più inoltrata nello stretto della valle”, aveva un territorio meno ricco di vigne e perciò “più riservato a pascolo e a bosco”. Il dominio dell’attività agropastorale è certificato dalla presenza di “quasi seicento agricoltori, ed anche molti mandriani”.
Mandrie transumanti
Secondo fonti locali, la carenza di foraggi spingeva alcuni allevatori di San Rocco alla transumanza estiva, con mete la Valle di Piei, quella di Fonteno e la Valle Camonica. Quest’ultima vedeva coinvolte Prestine e l’alta Val Gabbia, ove il toponimo Dosso Betti, a 2.142 m, richiama un cognome della valle di Adrara.
Il Catasto Agrario del 1929, dunque riferito al pieno di quel primo mezzo di Novecento, dice che al tempo la superficie coltivata si estendeva su 388 ettari, pari al 42,7% dell’intero territorio comunale. Gran parte di quell’area era occupata da coltivazioni foraggere, in totale 295 ettari, ovvero da prati, prati-pascoli e pascoli, ma non mancavano i seminativi, tutti arborati, i quali interessavano 45 ettari, e la vite, estesa su 47 ettari.
All’interno dei boschi v’erano 12 ettari a castagneto da frutto. Notevole era la superficie occupata dagli incolti produttivi, ovvero da quelle aree “quasi sterili” che offrivano comunque qualche prodotto erbaceo o legnoso, come ad esempio il fieno magro.
I campi a cereali producevano in media 12 q/ettaro di frumento e 14 q/ettaro di mais, la vite dava in media 45 q/ettaro di uva, il castagno 22 q/ettaro di castagne.
Il censimento ci offre anche dati sul bestiame allevato: 382 bovini, di cui 179 vacche, 23 equini, di cui 12 asini e 6 tra muli e bardotti, 129 maiali e 73 ovicaprini. Dai dati emerge un prevalente indirizzo zootecnico, finalizzato alla produzione lattiero-casearia.
Un quarto di secolo dopo, ormai sulla soglia del grande cambiamento, lo scenario territoriale è rilevato dal volo aereo GAI (Gruppo Aereo Italiano) del 1954-1955, commissionato dall’IGM (Istituto Geografico Militare). Da queste fotoaeree è stata tratta una carta dell’uso del suolo, secondo cui la superficie agricola si estendeva su circa 244 ettari, per una quota sul totale del 26,4%. I boschi coprivano il 72,0% del territorio, gli incolti e i cespuglieti lo 0,6% e le aree urbanizzate solo l’1,0%.
La Carta DUSAF 6 (Destinazione d'Uso dei Suoli Agricoli e Forestali), tratta dalle ortofoto del 2018, dice che attualmente la superficie agricola è pari a circa 142 ettari, per una quota sul totale del 15,4%. La dismissione di alcune aree coltivate ha favorito il bosco, che ora occupa circa 736 ettari e interessa il 79,8% del territorio comunale. Il dato è coerente con quello del PIF (Piano di Indirizzo Forestale), redatto all’inizio degli anni Duemila (vedi pannello 4 “Dall’abbandono al bosco”). Gli incolti e i cespuglieti coprono l’1,8% del territorio comunale, le aree urbanizzate il 3,0%.
Alla stregua di tutta la montagna bergamasca e lombarda, Adrara San Rocco ha vissuto in quest’ultimo secolo una grande trasformazione economica e sociale, che come ben dicono i dati, si è fortemente riverberata sull'assetto territoriale.
Un secolo di grandi cambiamenti
Le vecchie cartoline, quelle in bianco e nero della prima metà del Novecento, ci mostrano un’Adrara “di Dentro”, quella di San Rocco, immersa in un vasto e ordinato paesaggio rurale: piccoli campi accuratamente coltivati e ricchi di alberi, sovente sorretti da muri a secco, circondano contrade sparse e compatte. Le foto ritraggono un paese quasi immutato rispetto ai secoli precedenti, un paese ancora agricolo negli assetti territoriali ed edilizi, in quelli sociali ed economici, in tutto. La grande trasformazione che di lì a qualche decennio avrebbe cambiato l’Italia, e anche la Valle di Adrara, era ancora di là da venire.
L’evoluzione del settore primario secondo l’ISTAT
I dati ISTAT (Istituto nazionale di statistica) degli ultimi quattro censimenti dell’agricoltura, dal 1982 al 2010 (uno ogni 10 anni circa), descrivono per la Valle di Adrara (comuni di Adrara San Rocco, Adrara San Martino e Viadanica) un trend simile a quello di altri territori montani: nell’arco di una generazione (circa 30 anni) il numero delle aziende e dei capi allevati si è drasticamente ridotto.
Nel 1982 le aziende agricole della valle erano 351, di cui 136 ad Adrara San Martino, 100 ad Adrara San Rocco e 115 a Viadanica.
Nel 2010 ne risultavano in tutto 62, di cui 39 ad Adrara San Martino, 9 ad Adrara San Rocco e 14 a Viadanica.
Nel 1982 si allevavano nella piccola valle 1.919 bovini, di cui 1.436 ad Adrara San Martino, 289 ad Adrara San Rocco e 194 a Viadanica.
Nel 2010 il numero totale era sceso a 330 capi, di cui 168 ad Adrara San Martino, 70 ad Adrara San Rocco e 92 a Viadanica.